Per molti occuparsi di giovani e adolescenti vuol dire affrontare un problema, perchè i ragazzi sono fastidiosi, sono trasgressivi, fanno chiasso, vanno a letto tardi, poi fumano e fanno cose terribili: allora bisogna occuparsi dei giovani perchè ci preoccupano. Qualche passo l’abbiamo fatto: abbiamo cominciato a sostituire la parola “problema” con la parola “questione”, abbiamo cercato di spostare l’atteggiamento di una parte del mondo adulto verso i giovani da “fastidio” a “curiosità” fino a “voglia di ascolto e di incontro”. Le politiche giovanili non sono le politiche del controllo sociale e del problema-giovani, l’importante, non è partire parlando dei giovani e del loro disagio, ma da quello che loro hanno da “dire” e da “dare” nella loro normalità.
Allora pensare le politiche giovanili significa, per noi, ripensare e riformulare l’idea di comunità locale. L’idea che negli anni abbiamo cercato di perseguire è un’idea “pedagogica” di comunità locale, intesa come l’ambito in cui si costruisce la rete di risorse solidali per sostenere adolescenti e giovani, nei loro percorsi di maturazione individuale, di inserimento sociale e di transizione verso l’età adulta.